Cofanetto in Palissandro intagliato e dorato di Pietro Giusti, Siena, 1869

Cofanetto in Palissandro intagliato e dorato di Pietro Giusti, Siena, 1869

Magnifico Cofanetto di forma rettangolare in legno di Palissandro, con coperchio incernierato e piedini d'appoggio lavorati a "cartoccio", intagliato in alto e basso rilievo, inciso e dorato da Pietro Giusti, l'eccellenza tra i più rinomati disegnatori e intagliatori del legno, della Toscana nel 19° secolo.
La sua conoscenza dei motivi ornamentali unita al grande virtuosismo nell'intaglio del legno ha dato bellissime creazioni come questo cofanetto.
Pietro Giusti nacque a Siena il 29 Luglio 1822 da Gaetano, di professione sarto, e Margherita Cenni. Rimasta vedova quando il figlio aveva solo sei mesi, la madre si impegnò per garantirgli una certa istruzione ricorrendo a maestri privati, ma, date le difficoltà economiche, già dal 1834 Pietro Giusti cominciò a lavorare come fattorino nella bottega dello stampatore Guido Mucci.
Lo stipendio gli fornì l'occasione per studiare disegno presso l'Istituto di belle arti di Siena con il maestro di ornato Vincenzo Dei. In breve tempo, stante la sua propensione per il disegno, passò a lavorare, sempre come fattorino, nella bottega dell'intagliatore Angiolo Barbetti - alternandosi come aiutante anche nel laboratorio del padre di questi, Massimiliano Barbetti -, fino al 1842, anno in cui Angiolo trasferì la propria scuola a Firenze, lasciando la bottega al giovane allievo e ad un altro intagliatore, Antonio Rossi.
Nel 1845 il Giusti fondò una propria bottega di intaglio e iniziò anche ad avere allievi che collaborarono con lui alla realizzazione delle varie committenze. Nel 1848, come tanti altri giovani italiani, partì volontario per la guerra contro l'Austria; durante la battaglia di Curtatone e Montanara (29 Maggio 1948) venne fatto prigioniero dagli austriaci e portato in Boemia, dove rimase recluso nella fortezza di Theresienstadt dal 15 Luglio al 29 Agosto e poi presso l'ospedale militare di Praga dal 2 al 12 Settembre. Grazie ad uno scambio di prigionieri venne infine rimpatriato in Italia e giunse a Siena il 25 Ottobre 1848.
Nonostante le difficoltà della prigionia, Pietro Giusti lasciò testimonianza nel proprio taccuino di aver goduto, in questo periodo, anche della possibilità di vedere molte opere di intagliatori nelle città visitate nel viaggio di ritorno in Italia, opere che furono per lui fonte d'ispirazione per le realizzazioni future. Nel 1855 venne chiamato alla carica di maestro supplente di ornato presso l'Istituto di belle arti di Siena, divenendo titolare della cattedra il 19 Gennaio 1856, dopo la morte del maestro e amico Enea Becheroni.
Il 30 Gennaio 1866 lasciò definitivamente Siena con la famiglia per trasferirsi a Torino, dove venne chiamato a ricoprire il ruolo di professore di modellazione e di disegno ornamentale presso il Museo industriale italiano. Nel suo taccuino è possibile leggere note di insoddisfazione, dovute all'obbligo di chiudere la propria bottega torinese ad appena un anno dal trasferimento, e al cambiamento di indirizzo didattico del Museo, che lo costrinse al solo insegnamento teorico della propria materia. Pietro Giusti morì a Torino nel 1878.

Tra i suoi scritti ricordiamo: "All'Ill.mo Signor Conte Comm. Demetrio Carlo Finocchietti già Giurato Italiano alla Esposizione Internazionale dell'anno 1867 [Lettera in data 14 Febbraio 1869]" (opusc. Misc. Belle Arti ser. II vol. 21 n. 5); "Cenni sul sistema metrico decimale esposti in modo semplice adattato alla intelligenza dei giovanetti e del popolo toscano dal Prof. P.Giusti", Siena, R. Istituto di Sordo-Muti, 1859 (opusc. Misc. ser. IV t. 18 n. 17); "Del cofanetto d'oro, dono della città di Torino a S. A. R. la Principessa Margherita, in occasione delle sue nozze con S. A. R. il Principe Umberto di Savoia. Ricordi e descrizione", Torino, Stabilimento Tipografico dell'Editore Biagio Moretti, 1868 (opusc. Misc. Belle Arti ser. II vol. 16 n. 3); "Di Giuseppe Maria Bonzanigo astigiano intagliatore di legno e d'avorio nel secolo XVIII. Brevi notizie di P. Giusti di Siena", Torino, Eredi Botta, 1869 (opusc. Misc. Belle Arti ser. II vol. 17 n. 12); "Di una collezione di modelli in rilievo avviata nella scuola di ornamentazione diretta dal Prof. P. Giusti nel R. Museo Industriale di Torino", Torino, Fodratti, 1873 (opusc. Misc. Belle Arti ser. II vol. 29 n. 15); "La ornamentazione esaminata come uno dei mezzi essenziali per educare il gusto. Pensieri di P. Giusti di Siena", Torino, G. B. Paravia e Comp., 1872 (opusc. Misc. Belle Arti ser. II vol. 24 n. 11); "La riforma dell'insegnamento del disegno nelle Scuole secondarie d'Italia. I maestri artisti, un opuscolo del Prof. G. A. Boidi e alcuni scritti anonimi. Osservazioni di P. Giusti da Siena, Professore nel Regio Museo Industriale Italiano in Torino", del Giornale «Il Conte di Cavour», 1875 (opusc. Misc. Raimondi vol. 41 n. 22); "Nuovo metodo di crittografia [atto a divenire] comune [ed unico per la corrispondenza segreta dei Governi, dei banchieri, commercianti, etc. Invenzione del Cav. Pietro Giusti di Siena", Torino, Stamperia dei Compositori, s.a (opusc. Misc. ser. I t. 30 n. 21); "Programmi d'insegnamento di esame della scuola di disegno ornamentale del Prof. Giusti nel R. Istituto Tecnico di Torino con note del Professore e alcuni saggi di composizione ornativa ottenute dai migliori allievi nell'anno scolastico 1874-75", Torino, del Giornale «Il Conte di Cavour», s.a. (opusc. Misc. Stromboli, vol. XLI n. 29); "Ricordo dei saggi di composizione ornativa disegnati alla lavagna dai migliori allievi della Scuola Giusti ed esposti al pubblico in occasione della solenne distribuzione dei premi nel R. Istituto Tecnico di Torino, che ebbe luogo il 30 maggio 1874", (opusc. Misc. Senese, E. 24 e F. 9); "sculptures en bois par M. Giusti, Sienne. Vis-a-Vis la colonne de S. Dominique", Sienne, Stab. Tip. de A. Mucci, s.a. (opusc. Serie II t. 7 n. 1); "Sulla questione dell'insegnamento del disegno negl'Istituti tecnici", Torino, del Giornale «Il Conte di Cavour», s.a. (opusc. Misc. Senese, C. 20 n. 14); "Sulle industrie ornamentali in Italia. Pensieri di P. Giusti", Torino, Biagio Moretti Editore, 1867 (opusc. Misc. Senese, F. 5); "Sul riordinamento delle scuole del disegno in Italia. Pensieri e proposte di P. Giusti di Siena Professore nel R. Museo Industriale Italiano in Torino", Torino, G. B. Paravia e Comp., 1869 (opusc. Misc. Senese, F. 7 n. 12).

Una prestigiosa commissione e prime aperture sull’attività torinese di Pietro Giusti (di Luca Giacomelli).
Nel 1868, in previsione delle nozze tra Margherita e Umberto di Savoia, il Consiglio comunale di Torino, già impegnato nel programmare i festeggiamenti per la coppia, si trovò nell’imbarazzo di dover provvedere in tempi stretti a un dono prestigioso per la futura sposa. La commissione incaricata optò per un cofanetto d’oro in cui la principessa avrebbe potuto conservare le lettere di felicitazioni provenienti da tutte le città d’Italia, scegliendo di affidarne l’esecuzione al gioielliere Giuseppe Twerembold su disegno del noto intagliatore senese Pietro Giusti (1).
La presenza del Giusti a Torino risaliva al 1865, quando era stato chiamato dal Ministero per l’Agricoltura, l’Industria e il Commercio a ricoprire il ruolo di professore nella Scuola di Ornamentazione industriale aperta presso il Regio Museo Industriale Italiano. L’intagliatore aveva già lavorato in passato per alcuni committenti locali a opere di grande impegno, come il tempietto commemorativo per la figlia dei marchesi Della Valle (2) o le due cornici “alla raffaella” per il principe Umberto di Savoia (3), ma il suo incarico in città all’interno di un’istituzione che voleva essere di respiro nazionale assumeva un valore particolare, anche per le modalità con cui era stato conferito. Il Regio Museo Industriale Italiano di Torino era stato fondato per volontà del senatore Giuseppe Devincenzi a seguito dell’Esposizione Internazionale di Londra del 1862, in cui egli aveva ricoperto il ruolo di commissario per il Regno d’Italia. Nelle sue intenzioni il museo doveva funzionare come polo d’eccellenza e di coordinamento della ricerca tecnico-scientifica e artistico-industriale, sull’esempio del South Kensington Museum di Londra e dei politecnici di area tedesca (4). L’istituzione tuttavia ricevette un determinante impulso solo dal 1865, a seguito della grave crisi economica e sociale apertasi a Torino a seguito della perdita del ruolo di capitale: quasi a titolo di risarcimento, il Governo mirò a fare della città il centro propulsore dello sviluppo industriale nazionale e in tal senso il Museo doveva giocare un ruolo strategico (5).
Per un’istituzione che ambiva a ricoprire un ruolo centrale – una tra le prime nel giovane Regno finalmente unito – Giusti era il candidato ideale per rappresentare l’eccellenza nazionale e non più soltanto di Siena e della Toscana, com’era stato fino a quel momento nel campo dell’intaglio (6).
Volontario nel 1848 durante la guerra d’indipendenza contro l’Austria, Giusti finì prigioniero e deportato, ma al suo ritorno a Siena, forte anche di un bagaglio visivo maturato nelle sue peregrinazioni in Europa e soprattutto nella provincia senese, il successo non smise mai di arridergli tra i committenti italiani e stranieri, specialmente presso gli inglesi (7). Prova ne sono i numerosi riconoscimenti raccolti alle esposizioni nazionali e internazionali, dove Giusti risulta una presenza costante durante tutto l’arco della sua carriera: dalla prima a cui partecipò, l’Esposizione regionale di Firenze del 1847, fino a quella Universale di Vienna del 1873, dove furono esposti gli album di disegni precedentemente menzionati (8). Di particolare risonanza fu la sua partecipazione alla già citata Esposizione Internazionale di Londra del 1862, in occasione della quale il South Kensington Museum acquisì alcuni oggetti da lui esposti, tra cui una grande cornice in noce tutt’oggi conservata al Victoria & Albert Museum (9). Dal punto di vista didattico la preparazione di Giusti era decisamente solida, vista la decennale esperienza d’insegnamento presso l’Istituto delle Belle Arti di Siena tra 1855 e 1865 (10). Quale fosse la sua idea d’insegnamento si può in qualche modo ricavare dagli accordi intercorsi tra l’artigiano e il Ministero per l’accettazione dell’incarico (11).
Giusti decise di trasferirsi in terra sabauda portando con sé con alcuni dei suoi più valenti collaboratori, con un notevole spostamento di mezzi e competenze, mentre gli allievi ritenuti più meritevoli sarebbero stati impiegati nelle commissioni esterne, con regolare retribuzione. In tal modo si voleva creare un ponte tra la didattica in Museo e la produzione attraverso la bottega, secondo un modello all’epoca ritenuto vincente e che mirava a rendere Torino un polo di eccellenza non solo per l’insegnamento, ma anche per l’ambito produttivo (12). Va comunque rilevato che la situazione dell’ebanisteria torinese era tutt’altro che carente, come dimostrano l’opera e il magistero di Giuseppe Capello detto il Moncalvo, la cui esperienza tuttavia sembrò forse troppo provinciale per esercitare il dovuto appeal a livello nazionale (13). La Scuola di Ornamentazione Industriale aveva uno statuto particolare all’interno del Regio Museo Industriale: pur condividendone la sede, essa era legata all’Istituto Tecnico annesso al Museo, che dipendeva in gran parte dai finanziamenti di Comune e Provincia, tanto che ben presto si crearono tensioni tra la direzione del Museo e tali istituzioni proprio in relazione ai fondi da stanziare per i materiali necessari alla Scuola (14). Nonostante questi spiacevoli contrattempi, Giusti fu accolto a Torino come una vera celebrità e molti furono gli attestati di stima che la città gli riservò. L’intagliatore divenne subito membro del comitato direttivo del giovane Museo Civico, inaugurato tre anni prima, impegnandosi in prima persona a potenziarne le finalità di collezione artistico-industriale al servizio degli artigiani (15). Allo stesso tempo cercò di integrarsi nel milieu intellettuale locale dedicando uno studio monografico all’intagliatore astigiano Giuseppe Maria Bonzanigo, per il quale ottenne la collaborazione (nonché il sostegno economico) del Museo Civico e di alcuni studiosi locali, non senza qualche sotterraneo malumore, come pare di rilevare da una lettera di Giovan Battista Vico (16). Inoltre, in quanto professore in una scuola di livello nazionale, la sua produzione critica in materia di didattica aumentò in maniera consistente, dando luogo anche ad animati dibattiti, come quello col marchese Pietro Selvatico sull’insegnamento del disegno nelle scuole pubbliche (17).
La parte più allettante per un artigiano come Giusti doveva comunque essere l’apertura di un nuovo bacino di committenza, che probabilmente era stato presentato come molto promettente dal Ministero: ne sono dimostrazione le commissioni pubbliche che erano forse condizionate al suo trasferimento a Torino. Ci si riferisce in particolare alla grande cornice per la Storia metallica dei Savoia, impegnativa macchina simbolica presentata all’Esposizione Universale di Parigi del 1867 e attualmente conservata presso il Castello del Valentino a Torino, opera che tuttavia non raccolse unanime consenso (18). Nella sua relazione finale il celebre critico Demetrio Carlo Finocchietti, commissario italiano all’Esposizione parigina, nonostante il dichiarato impegno per assicurare la medaglia d’oro all’intagliatore avanzò gravi perplessità sull’opera, per lo «stile diverso» e la mancanza di quell’eleganza e leggerezza tipiche dei lavori di Giusti (19). Il senese rispedì prontamente le critiche al mittente, con una lettera molto interessante per comprendere il valore che la decorazione rivestiva nelle sue opere (20). Innanzi tutto c’erano questioni pratiche: la cornice, date le dimensioni monumentali e la destinazione, non poteva essere lavorata con tutte le delicatezze tipiche delle altre sue opere; in secondo luogo, la scelta di uno stile storico ben preciso sarebbe stata arbitraria, poiché le medaglie che la cornice doveva contenere spaziavano dall’anno Mille all’epoca contemporanea: un arco temporale nel quale «sono passati tutti gli stili di ornamentazione» (20).
L’unica soluzione plausibile era quella di adottare uno «stile eclettico» (22), in cui ogni elemento decorativo della cornice rispondesse a un determinato significato simbolico attinente all’opera che era destinata a contenere, senza tralasciare l’eleganza e l’effetto d’insieme: i dodici stemmi delle città italiane rappresentano quindi i nodi della catena del collare dell’Annunziata, i quattro elmi le epoche e i gradi di nobiltà della dinastia sabauda, i leoni del coronamento il popolo italiano e il Plebiscito e così via (23). In questo modo la cornice diventa un tutt’uno con l’opera in essa contenuta, amplificandone i significati tramite la carica simbolica dell’armamentario decorativo, valido quindi più per il suo valore comunicativo che come mero abbellimento della forma (24).
Tornando al cofanetto per la principessa Margherita, anch’esso con ogni probabilità andava a inserirsi in quel preciso piano di committenze ufficiali appena menzionato. L’oggetto è oggi disperso, ma la documentazione su di esso è cospicua: Giusti stesso ci viene in aiuto informandoci sulle caratteristiche del manufatto in un opuscolo del 1868, grazie al quale si ricostruiscono anche le fasi salienti della commissione (25). Ulteriori precisazioni si rintracciano in un fascicolo conservato presso l’Archivio Storico della Città di Torino, che riserva anche alcune sorprese (26). Dai documenti risulta infatti che Giusti ancora una volta aveva scavalcato personalità locali come Pietro Borani e Pietro Thermignon, orafi torinesi già attivi per la Casa Reale, tramite chiamata diretta del Consiglio comunale (27). Il fascicolo tuttavia non conserva soltanto ricevute e verbali, relativi soprattutto alla polemica sorta tra il Consiglio comunale e il gioielliere Twerembold circa il costo dei materiali, ma anche un bel disegno a matita a grandezza naturale del cofanetto, riferibile allo stesso Giusti. Il disegno, citato anche nell’opuscolo scritto dall’intagliatore (28), riproduce il prospetto frontale dell’oggetto, e si accompagna con altri custoditi nei volumi senesi, in cui particolare attenzione è riservata alla decorazione del coperchio e al suo meccanismo di sostegno, risolto con una soluzione a doppia inginocchiatura studiata a più riprese (29). A completare la documentazione biconografica concorre anche una fotografia da cui possiamo ricavare la foggia definitiva dell’opera, che si può così agevolmente confrontare con i disegni di Torino e Siena e con la descrizione a stampa (30).
La severa forma squadrata del cofanetto, che risulta essere di dimensioni ragguardevoli (54 x 35 x 17 cm), è ingentilita dalle bombature degli angoli (che nel disegno torinese assomigliano più a semplici smussature), terminanti su piedi a ricciolo che arieggiano un’eleganza quasi rococò per la loro floridezza, mentre nelle intenzioni di Giusti, stando al disegno appena citato, dovevano forse apparire di più severo «stile italiano della metà secolo decimosesto» (31).
I lati del cofanetto sono caratterizzati ciascuno da una lastra inquadrata da una decorazione a nastro arabescato, ritmato da perle montate su castoni che ricordano margherite: probabilmente un doppio omaggio alla sposa, anche alla luce della corrispondenza tra il nome della principessa e il termine latino margarita “perla” (32). Al centro di ogni lastra si trova lo stemma Savoia in mosaico di rubini e perle, circondato da rami di quercia legati da un nastro e sormontato da un elmo, ciascuno esprimente i vari gradi di nobiltà della stirpe sabauda, da duchi fino a Re d’Italia, elemento simbolico già messo in campo nella grande cornice citata più sopra. Il disegno torinese, relativo al fronte del cofanetto, riporta il motto di Carlo Alberto j’attend mon astre e la dicitura re d’italia. I riquadri ai lati degli stemmi presentano una decorazione a semplici specchiature, realizzate con lastrine di lapislazzuli. Il disegno torinese presenta tuttavia due diverse opzioni, come lo stesso Giusti specifica nell’opuscolo: sulla destra si trova quella effettivamente realizzata, mentre a sinistra l’intagliatore ne propone una più elaborata, che consiste in una decorazione ad arabesco dove spicca una sorta di sfinge, più in sintonia con le sue opere d’intaglio ma che in questo caso avrebbe richiesto un lungo e minuzioso lavoro di cesellatura.
Il coperchio del cofanetto, di difficile leggibilità nel disegno torinese ma ben riprodotto in uno di quelli conservati negli album senesi, è caratterizzato da una decorazione a cesello con motivi ad arabesco con effetto di bassissimo rilievo, inquadrata dal consueto nastro perlinato. Sui lati lunghi tale decorazione circonda due formelle circolari che riproducono lo stemma di Torino, informazione che si ricava solo dalla descrizione a stampa, mentre sui lati corti gli arabeschi inquadrano due cartelline coi motti siate felici e cari alla patria. La decorazione del coperchio ad arabesco a bassissimo rilievo, con targhe e cartelline, è una soluzione adottata a più riprese dall’intagliatore, come si può osservare ad esempio nel cofanetto in legno di noce oggi conservato al Metropolitan Museum of Art di New York (33). Quanto alla figura di coronamento, Giusti ci informa che si scelse di affidarne l’ideazione allo scultore Alfonso Balzico, il quale realizzò la figura dell’Aurora sorgente sull’Italia (34), anche se l’intagliatore nel disegno torinese suggeriva due soluzioni differenti, studiate nel medesimo foglio. La prima, più leziosa, prevedeva due colombe che giocano con un nastro, richiamo evidente al legame coniugale, mentre la seconda, di natura più ufficiale, proponeva un’aquila coronata recante lo stemma Savoia sul petto, somigliante a quella posta a coronamento della già citata cornice della Storia Metallica dei Savoia. Tale poderosa figura avrà comunque un posto, per quanto piccolo, nell’armamentario simbolico esibito nell’oggetto: la troviamo infatti riprodotta sulla chiave della serratura del cofanetto.
La decorazione e le proporzioni del pezzo richiamano da vicino il collaudato repertorio neorinascimentale per cui i senesi andavano giustamente famosi e che Giusti aveva già sperimentato in diverse opere, come confermano ampiamente i disegni di studio contenuti negli album senesi.
Trattandosi di un oggetto d’oreficeria anziché d’intaglio, e alla luce del poco tempo a disposizione, si adottarono soluzioni leggermente differenti, evidenti nella semplificazione della forma e nella drastica riduzione del lavoro di cesellatura. «Modesti ornamenti» (35) li definisce Giusti, che però, pur non avendo la carica simbolica tipica dei suoi lavori di maggior impegno, avevano almeno raggiunto l’obiettivo di produrre un oggetto «modestamente artistico, ma splendido per valore e ricchezza» (36).
Purtroppo le speranze di Giusti riguardo ad altre importanti commissioni non si realizzarono ed egli fu costretto a congedare i suoi collaboratori per dedicarsi soprattutto all’insegnamento, mentre la bottega continuava a produrre piccoli lavori di facile smercio su disegno del maestro, come le celebri cornici neorinascimentali a fondo dorato e picchiettato, che a quel che sembra invasero il mercato italiano e inglese (37).
Tuttavia nemmeno la strada dell’insegnamento fu priva di delusioni: Giusti si trovò ben presto a dover fronteggiare l’ostilità dell’ambiente torinese, soprattutto del collega Giuseppe Antonio Boidi, riducendosi ad avere pochi allievi e a doversi difendere da quella che riteneva una campagna stampa a dir poco calunniosa (38).
Malgrado ciò gli ultimi anni di permanenza di Giusti a Torino e la sua attività didattica negli anni Settanta, più che in chiave di fallimento personale, meriterebbero di essere riletti nel quadro più ampio dello sviluppo della città verso il suo ruolo di capitale industriale e più in generale del mutamento del ruolo della didattica artistico-industriale a livello nazionale, in cui il modello della bottega artistica, ancora fecondo in Toscana, si scontrava con le esigenze della formazione tecnica e industriale, che il Giusti seppe cogliere solo parzialmente.
Didascalia
1. L’opera e la figura di Pietro Giusti (1822-1878), eclettico intagliatore senese, ci sono note soprattutto grazie alle cospicue fonti disponibili, in particolare gli album di disegni conservati a Siena presso la Biblioteca degli Intronati. A questi è allegato un manoscritto autobiografico dello stesso Giusti che, per quanto parziale, resta fondamentale per delineare meglio i contorni della sua vicenda umana e professionale: si veda Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena, Gabinetto disegni e stampe (d’ora in avanti BCIS, GDS), E.I.8 – E.I.11.
L’importanza di tali documenti è sottolineata a più riprese negli studi di Simone Chiarugi, in gran parte confluiti nel fondamentale Botteghe di mobilieri in Toscana, Firenze, 1994; su Giusti in part. I pp. 274-295 e II pp. 483-491, a cui volentieri si rimanda per tutte le informazioni relative alla biografia del personaggio. Su Twerembold rade notizie in L. Lenti, Camillo Bertuzzi designer di gioielli 1819-1894, Firenze, 1998, pp. 18-19 e n. 56 p. 588.
2. Disegno in BCIS, GDS, E.I.8 ff. 28-29; l’oggetto ebbe anche una qualche risonanza sulla stampa dell’epoca, cfr. Di un tempietto eseguito dal Prof. Pietro Giusti di Siena, in «Lo Spettatore», 8, 22 febbraio 1857, p. 87.
3. Commissionate nel 1860; uno dei due pezzi è forse riconoscibile in una cornice attualmente conservata presso la Biblioteca Reale di Torino, inv. 329.
4. Sul Regio Museo Industriale Italiano, L. Giacomelli, Il Regio Museo Industriale Italiano, in Torino: Prima capitale d’Italia, direzione scientifica di E. Castelnuovo, Roma, 2010, pp. 117-124, con bibliografia precedente. Sull’importanza del South Kensington Museum come modello per il museo torinese segnalo una lettera del senatore Devincenzi a Henry Cole, direttore del museo inglese, datata 31 maggio 1863 e pubblicata in Tenth Report of the Sience and Art Department of the Committee of Council of Education, London, 1863, p.269.
5. Sul difficile periodo di transizione, Storia di Torino: VII. Da capitale politica a capitale industriale (1865-1915), a cura di U. Levra, Torino, 2001.
6. Sulla tradizione dell’intaglio senese, S. Chiarugi, La fortuna degli intagliatori senesi, in Siena tra Purismo e Liberty, catalogo della mostra (Siena 1988), Milano e Roma, 1988, pp. 302-310. La storia personale del Giusti, fatta di sacrifici e duro lavoro fino al raggiungimento della fama, costituiva inoltre fecondo materiale per la più tipica letteratura selfhelpistica ottocentesca, come dimostra il capitolo a lui dedicato in M. Lessona, Volere è potere, Firenze, 1869, pp. 198-202; sulla letteratura del self-help relativa agli artisti in Italia cfr. M. Ferretti, L’O di Giotto, il leone di burro di Tonin e tante altre storie istruttive: gli artisti nella letteratura del Self-help, in Culture e libertà. Studi di Storia in onore di Roberto Vivarelli, a cura di D. Menozzi, M. Moretti, R. Pertici, Pisa, 2006, pp. 35-100.
7. Per una sintetica rassegna dei suoi committenti inglesi e delle opere prodotte per loro si veda da ultimo C. Rowell, The Kingston Lacy ‘Raphael’and its frame (1853-1856) by Pietro Giusti of Siena, in «National Trust Historic Houses & Collections Annual 2014», pp. 40-47; inoltre F. Corrado, P. San Martino, A world wide reputation. Arte e industria di Pietro Giusti senese (1822-1878), in «Nuova Antologia», 612, 2269, 1, 2014, pp. 327-336.
8. Chiarugi, Botteghe, cit., II, pp. 484-488.
9. Victoria & Albert Museum, inv. 8053-1862; si veda anche J.B. Waring, Masterpieces of Industrial Art & Sculpture at the International Exhibition 1862, London, 1863, vol. III, tav. 225. Il museo acquisì anche altre due sue cornici, come risulta dai documenti conservati presso i National Archives, Kew, ED 28 15, Board 24th October 1862, n. 15195, che si trovano descritte in Ancient and Modern Furniture and Woodwork in the South Kensington Museum, London, 1874, pp. 161-162: «8051. ‘62. FRAME. Carved wood. Arabesque open pattern on matted gold ground; containing a photograph. Modern Italian (Sienese), 18 ¾ in. By 15 ½ in. Bought (International Exhibition, 1862), 7 l. [...] 8052. ‘62. FRAME. Carved and gilt wood. Modern Italian (Sienese). H. 3 ft. 10 ½ in., W. 3 ft. 2 in. Bought (International Exhibition, 1862), 8 l.». Tali oggetti furono comunque oggetto di ‘deaccessione’ e quindi dispersi intorno agli anni Venti del Novecento, cfr. Victoria & Albert Archive, Blythe House, ED 84/425.
10. Chiarugi, Botteghe, cit., II, p. 486; da ultimo anche B. Pulcinelli, La Sezione dei Legni Intagliati alla Mostra del 1904. L’intaglio a Siena nell’Ottocento e nel primo Novecento e i disegni della Scuola dell’Ornato, in Il segreto della civiltà. La mostra dell’Antica Arte Senese del 1904 cento anni dopo, catalogo della mostra a cura di G. Cantelli, L.S. Pacchierotti, B. Pulcinelli (Siena 2005-2006), Siena, 2005, pp. 164-165, ma si veda tutto il saggio per una trattazione generale.
11. Archivio Storico della Città di Torino (d’ora in avanti ASCTo), Affari Istruzione e Beneficenza, Cart. 36, fasc. 1, doc. 19.
12. S. Nicolini, «… una specie di eredità intellettuale». Orientamenti dell’insegnamento dell’intaglio e dell’intarsio tra Otto e Novecento, in Forme del legno: Intagli e tarsie fra Gotico e Rinascimento, atti del convegno (Pisa, 2009) a cura di G. Donati, V.E. Genovese, Pisa, 2013, pp. 363-368; per una panoramica sulla situazione in Toscana si veda Chiarugi, Botteghe, cit., I, pp. 31-62; sull’interessante dibattito riguardo alla didattica dell’ornato sorto in quegli anni in ambito torinese cfr. E. Dellapiana, ‘Specchiato e fecondo connubio dell’arte e dell’industria’: echi di un dibattito tra Accademia Albertina e Museo Industriale di Torino, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 99, 2001, pp. 181-215, e da ultimo A.B. Pesando, Il rapporto arte-industria come progetto di identità italiana: il caso della Scuola di Ornamentazione del Museo Industriale Nazionale a Torino, in «Chronica Mundi», 2, II, 2011, pp. 85-103.
13. R. Antonetto, Gabriele Capello «Moncalvo». Ebanista di due re, Torino, 2004; Idem, Gabriele Capello ‘Moncalvo’. La vita e gli scritti, Torino, 2006. Sulla tradizione dell’ebanisteria piemontese G. Ferraris, Pietro Piffetti e gli ebanisti a Torino 1670-1838, Torino, 1992.
14. Si veda la lettera di G. Devincenzi al Ministro Torelli della fine del 1866 in Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Divisione industria e commercio, III versamento, busta 414A «Affari vari anteriori al 1876». Ringrazio Stefano Turina per la segnalazione e per avermi fornito copia del documento.
15. Sulla genesi del Museo Civico e sulle sue finalità si rimanda alla sezione Arte e industria in Il tesoro della città: Opere d’arte e oggetti preziosi da Palazzo Madama, catalogo della mostra (Stupinigi, 1996), a cura di S. Pettenati e G. Romano, Torino, 1996, pp. 43-118. Al nome di Giusti sono legati anche due oggetti giunti in museo per lascito o acquisto dall’intagliatore: si tratta del braccio di lampada in ferro della metà del XVII sec. inv. 577/F e del frammentario Crocifisso ligneo del XVIII sec., inv. 195/L. Ringrazio Cristina Maritano per la segnalazione.
16. P. Giusti, Di Giuseppe Maria Bonzanigo astigiano intagliatore di legno e d’avorio nel secolo XVIII, brevi notizie, Torino, 1869. La volontà di facilitare il lavoro di Giusti emerge in alcuni documenti conservati presso l’Archivio dei Musei Civici di Torino, CAP 48. Ringrazio Federica Panero che mi ha gentilmente segnalato la lettera di G.B. Vico a Francesco Gamba del 1876 relativa a Giusti, conservata in Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte, Miscellanea Vico, L inf. I 25, 6° mazzo, Vico, corrispondenza relativa alla Galleria dal 1870 al 1885.
17. Sull’argomento L. Giacomelli, Selvatico, Giusti e la polemica sull’insegnamento del disegno, in Pietro Selvatico e il rinnovamento delle arti nell’Italia dell’Ottocento, atti del convegno (Venezia, 2013), a cura di A. Auf der Heyde, M.Visentin, F. Castellani, Pisa, 2016, pp. 487-500.
18. E. Colle, Il mobile dell’Ottocento in Italia. Arredi e decorazioni d’interni dal 1815 al 1900, Milano, 2007, pp. 312-315.
19. D.C. Finocchietti, Dell’Intaglio e della Tarsia in Legno e in Avorio, in Relazioni dei Giurati italiani sulla esposizione universale del 1867, I, Firenze, 1868, pp. 488-490.
20. P. Giusti, All’illustrissimo signor conte commendatore Demetrio Carlo Finocchietti già giurato italiano, alla esposizione internazionale dell’anno 1867 [Lettera in data 14 febbraio 1869], Torino, 1869. Tale redazione fu probabilmente soppressa e sostituita da un’altra, datata 15 aprile 1869, ‘alleggerita’ nei toni alla luce delle opinioni riportate nelle lettere di Luigi Mussini all’intagliatore, si veda L. Mussini a P. Giusti (Siena, 22 marzo 1869) e L. Mussini a P. Giusti (Siena, 25 maggio 1869), consultabili on-line sul sito della Fondazione Memofonte all’indirizzo http://www.memofonte.it/carteggio-mussini.html (ultimo accesso 25 aprile 2016). Entrambe le redazioni sono consultabili nelle miscellanee della BCIS.
21. Giusti, All’illustrissimo, cit., p. 13.
22. Ivi, p. 16.
23. Ivi, pp. 14-15.
24. Un atteggiamento confermato anche nella descrizione di altre opere: si veda per esempio il caso della specchiera da camino in P. Giusti, La ornamentazione studiata come uno dei mezzi essenziali per educare il gusto. Pensieri, Torino, 1872, pp. 8-9, i cui disegni preparatori sono in BCIS, GDS, E.I.10, f. 38r. La questione del valore simbolico dell’ornamento rimonta per l’Ottocento agli scritti di Semper relativi all’architettura: si veda in merito N. Squicciarino, Arte e Ornamento in Gottfried Semper, Venezia, 1994, pp. 81-101 e da ultimo A. Payne, From Ornament to Object: Genealogies of Architectural Modernism, New Haven & London, 2012, pp. 38-46, diventando poi moneta corrente anche in Italia come dimostrano le considerazioni raccolte in P. Selvatico, Sull’importanza dello studio degli ornamenti, in Idem, Scritti d’arte, Firenze 1859, pp. 353-358; inoltre Il bello ‘ritrovato’. Gusto, ambienti, mobili dell’Ottocento, a cura di C. Paolini, A. Ponte, O. Selvafolta, Novara, 1990, pp. 464-465.
25. P. Giusti, Del cofanetto d’oro dono della città di Torino a S.A.R. la principessa Margherita in occasione delle sue nozze con S.A.R. il principe Umberto di Savoja: ricordi e descrizione, Torino, 1868; altre notizie sul cofanetto sono fornite dal Giusti in alcune lettere a Gaetano Milanesi, consultabili on line sul sito del Laboratorio Arti Visive, confluito nel Laboratorio di Documentazione Storico Artistica della Scuola Normale Superiore di Pisa, all’indirizzo http://www.artivisive.sns.it/progetto_milanesi.html (ultimo accesso 25 aprile 2016).
26. Archivio Storico della Città di Torino, Ufficio Gabinetto del Sindaco, «Matrimonio del Principe Ereditario. Dono a SAR la Principessa Margherita», inv. 1330, anno 1868, cart. 51, fasc. 6.
27. Sul Borani (o Borrani), esponente di una nota famiglia di argentieri, si veda A. Griseri, Argentieri piemontesi a Palazzo Reale, in Porcellane e argenti del Palazzo Reale di Torino, catalogo della mostra (Torino, 1986), a cura di A. Griseri e G. Romano, Milano, 1986, p. 145; sul Thermignon ad vocem nella sezione Biografie, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-1861, catalogo della mostra (Torino, 1980), a cura di E. Castelnuovo e M. Rosci, Torino, 1980, vol. III, p. 1491.
28. Giusti, Del Cofanetto, cit., pp. 6-7.
29. Si tratta di disegni a matita ripassati a inchiostro e acquerellati, conservati in BCIS, GDS: E.I.9, f. 19r veduta frontale del cofanetto, in una versione più avanzata rispetto allo studio torinese; f. 20r, veduta dall’alto del coperchio; f. 21r, veduta laterale con il coperchio alzato e studio del meccanismo di sostegno; E.I.11, f. 92, probabile veduta del retro del meccanismo della serratura.
30. L’immagine è riprodotta in L. Lenti, Le gioie nuziali donate dagli italiani a Margherita di Savoia, in Gioielli in Italia. Donne e ori. Storia, arte, passione, atti del convegno (Valenza, 2002), Venezia, 2003, pp. 49-61 che segnala anche i disegni di Giusti, che chi scrive aveva tuttavia rintracciato in maniera indipendente. Lo stesso Giusti fa riferimento ad alcune foto scattate al cofanetto, riproduzioni di cui non sembrava essere troppo soddisfatto, cfr. P. Giusti a G. Milanesi (Torino, 27 giugno 1868).
31. Giusti, Del Cofanetto, cit., p. 10. In effetti anche il disegno del coperchio sembra suggerire che la bombatura degli angoli sia un’aggiunta successiva rispetto all’idea iniziale.
32. Lenti, Le gioie nuziali, cit., p. 56. La decorazione ad arabeschi del nastro, realizzata probabilmente a semplice incisione e poco leggibile nella foto, è testimoniata sia dalla descrizione in Giusti, Del Cofanetto, cit., p. 11 sia dal disegno torinese che riporta numerosi, leggeri tocchi di matita nei nastri e sulle lastrine di pietre dure.
33. Accession Number 1998.19. Il cofanetto è datato 1857 ed era probabilmente destinato a Lady Alford (Holford?) di Londra, una delle più affezionate clienti inglesi di Giusti. L’oggetto appare come una rivisitazione ingentilita del celebre cofano intagliato attribuito ad Antonio Barili e conservato in Palazzo Pubblico a Siena, restaurato proprio da Giusti nel 1856: cfr. B. Pulcinelli, scheda n. 76 in Il segreto, cit., pp. 402-403. Il modello di Giusti doveva riscuotere notevole successo: un cofanetto probabilmente identico era stato realizzato già due anni prima per il conte Valotti di Brescia e, nel 1862, un altro (ma si tratta forse di quello oggi al Metropolitan) era stato presentato all’Esposizione Internazionale di Londra: cfr. The Art Journal Illustrated Catalogue of the International Exhibition 1862, London, 1862, p. 262.
34. Giusti, Del cofanetto, cit., p. 13. Su Balzico M. Grieco, Alfonso Balzico scultore, Solofra, 1996.
35. Giusti, Del cofanetto, cit., p. 10.
36. Ivi, p. 5.
37. Due esempi del genere sono conservati a Torino presso Palazzo Madama-Museo Civico d’Arte Antica, inv. 210/L e 768/L, cfr. E. Pagella, L’arte della ostinata pazienza: Le micro sculture di Bonzanigo nel Museo Civico di Torino, in Il Trofeo Militare di Giuseppe Maria Bonzanigo, a cura di C. Arnaldi di Balme e A. Merlotti, Torino, 2011, p. 34.
38. P. Giusti, Programmi d’insegnamento e di esame della scuola di disegno ornamentale del Prof. Giusti nel R. Istituto tecnico di Torino con note del professore e alcuni saggi di composizione ornativa ottenuti dai migliori allievi nell’anno scolastico 1874-75, Torino, 1875. Sul confronto tra Giusti e Boidi, che vide schierati anche Selvatico e Boito a fianco del senese M. Cardelli, Acanthus occidens. Giocondo Albertolli, formulazione e crisi di una precettistica neoclassica, Firenze, 2015, pp. 285-292.

Referenze:

  1. Metropolitan Museum New York: Accession Number: 1998.19
  2. Victoria & Albert Museum: Pietro Giusti (1822-78), Siena, carved & gilded walnut frame, International Exhibition, London, 1862; Accession Number V&A Museum 8053:1-1862
  3. Victoria & Albert Museum (Accession Number 7881-1861).
  4. Capolavori dell'arte decorativa del XIX secolo, Pipino Stampa , 2001, pp. 309, 342, 343."
  5. Circle of Raphael, The Holy Family with the infant St. John in a landscape, ‘The Kingston Lacy Raphael’, c.1516-17, o/panel, 30 x 21 in (76 x 53.3 cm), carved walnut frame by Pietro Giusti of Siena, 1853-6, Kingston Lacy, Dorset, NT 1257083.

Bibliografia:
E. Nencioni, "Di un cofano commesso dal Conte Augusto de' Gori all'artista Pietro Giusti e da lui scolpito in avorio", Siena, Mucci, 1859
M. Lessona, "Volere è potere", Firenze, Barbèra, 1869, pp. 198-202
C. Sisi, E. Spalletti (a cura di), "La cultura artistica a Siena nell'Ottocento", Siena, Monte dei paschi di Siena, 1994, p. 341
A. Grifoni, "La vita e la produzione artistica di Pietro Giusti, Siena 1822-Torino 1878. Protagonista della fortunata stagione dell'intaglio ligneo senese", tesi di laurea, relatore prof. Giuseppe Cantelli Università degli studi di Siena, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1993-1994
S. Chiarugi, "Botteghe di mobilieri in Toscana", Firenze, SPES, 1994, pp. 483-491
G. Borghini, "Risorgimento senese. Le opere e i giorni", in "E il vento del Risorgimento soffiò su Siena e il suo Palio", Siena, Contrada della Torre-Circolo culturale I Battilani, 2011, pp. 35-54
P. Turrini-M. V. Ciampoli, "Siena e la Costituzione toscana del 1848. Una festa per Leopoldo II, in Dal Granducato al Regno, atti della giornata di studi. Siena, Archivio di Stato, 3 marzo 2011", a cura di P. Turrini-E. Pellegrini, «Accademia dei Rozzi», XX, n. 38, pp. 5-27, in particolare p. 11.

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