Plancia o Pannello di Comando d'Aereo in dotazione alla Regia Aeronautica, realizzata in alluminio dalla "S.A. Industrie Meccaniche e Aeronautiche Meridionali di Napoli" nel 1937, così come riportato nella targhetta presente sul pannello la quale indica inoltre, la data di fabbricazione, altri numeri e diciture in lettere riferite alle caratteristiche dell'aereo.
Il pannello di comando, il quale è lungo 111 cm circa, è completo degli strumenti di controllo del motore ed altri utili al volo realizzati da varie aziende italiane, Salmoiraghi, Veglia etc etc ognuno dei quali riporta data di produzione o revisione. La particolarità di questo pannello si caratterizza per la presenza di una leva con pomello a pressione sul quale è indicato "Apertura Portello Ordigno": questa indicazione ci spinge a sostenere la tesi per la quale, l'aereo su cui era installato questo pannello, possa essere stato realizzato come velivolo da ricognizione (tipo Piper o Cicogne) ma dotato di congegno tramite il quale, all'occorrenza, si sarebbe reso disponibile allo sgancio di ordigni.
Dopo molti tentativi di ricerca, a tutt'oggi, non è stato possibile identificare il modello di aereo su cui era installata questa plancia o pannello di comando, pertanto non si esclude la produzione in un numero esiguo di esemplari se non addirittura a livello di prototipo; questa ipotesi potrebbe essere avvalorata dai dati tecnici riportati sulla targhetta identificativa dell'aereo i quali recitano inoltre la definizione " Ref. Prot. 11/V02/P.
Qualche anno antecedente il secondo conflitto infatti, iniziarono le prime sperimentazioni svolte su aeroplani, solitamente utilizzati per la ricognizione, essi avevano l'elemento distintivo di non essere considerati velivoli atti al bombardamento, sia per le loro dimensioni e caratteristiche, nonchè per la loro tipologia d'impiego. Queste considerazioni fecero si che durante il conflitto, questi aerei conseguirono molti attacchi a sorpresa i quali avvennero senza che le contraeree nemiche potessero intervenire in modo appropriato.
La sperimentazione per lo sgancio di ordigni venne estesa, in via del tutto sperimentale, anche agli Aeroscooter e Alianti militari.
Ottimo il suo stato di conservazione.
Dal Giornale Sabato Sera del La storia degli aerei ricognitori «Pippo» e «Cicogna», terrore della popolazione durante la guerra
Nell’Aprile del 1945 atterrarono ad Imola i primi aeroplani; i primi e gli ultimi, probabilmente. Si trattava di quegli aerei da ricognizione con l’ala sopra, detti anche «Cicogne», dotati di macchine per riprese fotografiche, che facevano anche il servizio postale, trasportavano feriti, ecc. Volavano alti nel cielo, sia di giorno che di notte, solitari, sorvolando le zone di combattimento e soprattutto le retrovie tedesche per individuare la presenza di truppe, di automezzi in movimento, di basi e depositi di rifornimenti e poi, ogni tanto, lasciavano cadere una bomba, seminando il panico tra i soldati tedeschi e naturalmente anche tra la popolazione civile.
Nel libro di Guglielmo Cenni dal titolo Imola sotto il terrore della guerra, l’autore annota puntualmente i fatti di cronaca cittadina tra il Luglio del 1943 e l’Aprile 1945. Quei velivoli, dagli imolesi erano chiamati «Pippo» perché il nome tecnico era Piper, che in inglese si pronuncia «paiper», ma in tedesco si pronuncia «piper». Per cui, ogni volta che si sentiva il caratteristico e inconfondibile rombo, i soldati tedeschi dicevano: «Piper! Piper!», per intendere l’aereo che stava spiando dall’alto. La parola «piper» per gli imolesi divenne allora simpaticamente e affettuosamente «Pippo». La presenza di quell’aereo divenne famigliare, anche se le sue azioni portavano spesso danni e morti. Dopotutto si era in guerra, in quel terribile inverno 1944-45 che passammo chiusi tra le mura della città, coi campi minati tutt’attorno, il razionamento dei viveri, il mercato nero e migliaia di sfollati venuti dalla campagna. Benvenuti quindi i voli dei Pippo sulle nostre teste; almeno davano speranza. C’era anche il coprifuoco, l’obbligo di mantenere l’oscurità, con degli addetti che giravano per controllare anche le case private.
Erano azioni di tutti i giorni, quelle compiute dai Pippo, che nell’inverno 1944-45 partivano da Castel del Rio, da una pista spianata alla meglio su di un ampio terrazzo naturale circa un chilometro a nord del paese. Decollavano e atterravano in poco spazio. Quello di Castel del Rio non fu l’unico campo del genere allestito nella vallata del Santerno, poiché mano a mano che il fronte avanzava anche i servizi delle retrovie si spostavano. Ad Imola liberata, i campi di atterraggio furono addirittura due: uno a fianco della strada Montanara, dove oggi si trovano i campi da rugby, l’altro verso Faenza, in via Gratusa. Sul campo della Montanara atterrarono soltanto i Piper, in quello di via Gratusa invece hanno atterrato anche alcuni bimotori.
Il 15 Aprile nel podere Santo Spirito, dove era situata la base dei rifornimenti, arrivarono le ruspe la mattina presto. Cominciarono ad abbattere le piante, a colmare i fossi e a livellare il terreno e nel pomeriggio atterrarono i primi aerei. C’era sempre un notevole traffico di aerei, che arrivavano e partivano. Quando c’era troppo fango, per asciugare il terreno i militari usavano cospargerlo di benzina e darvi fuoco. Anche da quelle parti un aereo fu abbattuto dalla contraerea piazzata sulla strada di Zello e andò a cadere proprio dove ora c’è l’albergo Olimpia. Quei campi di atterraggio rimasero in funzione forse una ventina di giorni, poi tutto si spostò verso nord. La vita molto lentamente ricominciò, i contadini ripresero a lavorare, i fossi furono riaperti e degli «aeroporti» del Santerno non rimase più nulla.